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Mario
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QUANTO PESA IL PERSONAGGIO?

Per anni mi sono chiesto come facessero certi Autori (in particolare i fumettisti) a gestire i loro personaggi senza diventare azzurri (Silver di Lupo Alberto) o rosa (Mattioli di Pinky) o neri (Facciolo e Zaniboni di Diabolik) o a pallini rossi (Altan della Pimpa); senza che gli crescesse un nasone (Uderzo di Asterix) oppure orecchie tonde e nere (i disneyani, in generale, a cominciare da Cavazzano).
Personalmente ho sempre evitato di avere personaggi ricorrenti. Ero convinto che, così facendo, avrei garantito a ogni libro “l’effetto sorpresa”, che avrei evitato le ripetizioni, che avrei sconfitto la noia dei miei lettori… ma anche la mia.
Trasgredii alla regola una prima volta, tantissimi anni fa, rimontando in un diario scolastico le battute dello ZOO PAZZO (che per sua natura cambia “carachter” a ogni striscia) facendole recitare a un “ragnetto peloso”. Successo scarso, a conferma delle mie idee pregresse.
Poi, molti anni dopo, Margherita Forestan ebbe fiducia in Mammagallina, una pollastra viola che avrebbe dovuto inizialmente limitarsi a interpretare il ruolo principale del libro “Una settimana nel nido”. Ne derivò una breve collana di quattro titoli (i libri tlictlac) ricordata soprattutto per l’enorme dispendio di energie mie e dell’editore.
“ Visto che avevo ragione?”, mi dicevo.
Poi, stimolato a oltranza da Cristina Sperandeo, ho controvoglia dato vita a Luporosso, e mi sono dovuto rimangiare anni di affermazioni presuntuose.
Ho finalmente scoperto l’acqua calda: il personaggio ricorrente crea “affezione”, “fidelizza” il lettore, scatena un a proficua “onda lunga”…. tutti termini da pubblicitario per dire che “si vende meglio”.
In effetti, riflettendoci, la spiegazione è ovvia: il lettore che ha apprezzato un libro è disponibile a comprarne un altro con lo stesso personaggio. Altrettanto ovviamente, la cosa dovrebbe valere per l’autore, come avviene per i romanzi: io non mi perdo un titolo firmato Westlake (che abbia o meno Dortmunder come interprete) o Camilleri (addirittura privilegiando quelli senza Montalbano). Ma questa considerazione si scontra con la triste realtà per cui, fatte le dovute eccezioni, pochi memorizzano i nomi di chi fa i libri per l’infanzia… infatti ci sono editori (come la Coccinella, tanto per fare un esempio a caso) che li citano solo in quarta di copertina, e con caratteri da bugiardino dei medicinali nel paragrafo “controindicazioni”.
Geniale e vincente, perciò, la scelta Geronimo Stilton, contemporaneamente personaggio e autore dei libri omonimi.
Devo però ammettere che esistono anche vantaggi tecnici, per l’autore, nel gestire un personaggio ricorrente. Non si è obbligati a “spiegarlo” ogni volta: il lettore ne conosce già le caratteristiche, e quindi si risparmiano intere pagine di presentazione. Un po’ come succede per gli animali, che personalmente da sempre privilegio rispetto agli “umani”: se il personaggio è un bambino, sei costretto a dire che tipo di bambino sia; se invece è un ippopotamo si dà per scontato sia grosso e impacciato, se un coccodrillo infido, se una farfalla vezzosa… e se poi fai un ippopotamo leggiadro o un coccodrillo coccolone o una farfalla grassa e maldestra hai subito catturato l’attenzione. Il “tuo” personaggio è, per l'appunto, “tuo”: non è vincolato da schemi preesistenti e può essere un lupo che non si mangia maialetti (o che ama galline, come quello di Silver) ma dà, sia pure indirettamente, saggi consigli. Proprio il fatto che quei consigli arrivino inaspettatamente da lui e dal suo contesto li rende più appetibili di quelli – indubbiamente altrettanto validi – provenienti da un insegnante… anche se assomigliasse a un gufo saggio.
Rimane il problema della citata immedesimazione con il proprio personaggio, dopo averlo disegnato in mille (si fa per dire, nel mio caso, ma non è un’esagerazione per chi fa fumetti) atteggiamenti. Bene: ho verificato (tardi) che non è poi esperienza così terribile, anzi… quasi più dei lettori, gli autori amano ritrovare il loro “figliolo”, rivisitarlo, ripeterlo, diventare – forse masochisticamente – matti per riuscire a dargli sempre nuove espressioni. E quando non ci si riesce… ah, quanto è rilassante “andare di mestiere” contando sulla riconoscibilità del suddetto!
Perché, infine, per un autore è gradevole essere definito - ed è solo un modesto esempio - “Quello che fa Luporosso” piuttosto del generico “Quello che fa i libri per bambini”.
Ma questo può sembrare un discorso narcisista, incoerente con l’autocritica implicita nel testo precedente.

Mario Gomboli

P.S.
Se qualche lettore ha sentito la mancanza di un’esplicita “modesta proposta” in questo articolo, ha ragione.
Per una volta, lo stimolo era rivolto soprattutto a chi – anche con ruoli diversi – lavora nel mio stesso contesto.
Perciò ho citato inusualmente tanti nomi e cognomi: per provocazione.


illustrazione di Mario Gomboli
per la copertina del libro
CONTANIMALI (La Coccinella)
di prossima pubblicazione.