QUI NON SI FA POLITICA!
Ma
perché? Questa affermazione – riferita
ovviamente alla scuola – risale ai tempi
del Duce e chi li ha vissuti o ne ha anche solo
sentito parlare o ne ha letto i libri di testo
sa bene quanto falsa e ipocrita fosse quella affermazione.
Aveva comunque un senso, quella dichiarazione,
in un contesto storico che non voleva “si
facesse politica” (intesa come dialettica
tra le parti sociali) né nelle aule né altrove.
Ma da decenni “post E.F.” i ministri
della Pubblica Istruzione (sia pure con denominazioni
diverse sempre quella funzione dovrebbero avere)
e i loro colleghi, insieme a molti insegnanti pedagoghi
didatti auspicano in coro: “La politica NON
deve entrare nella scuola!”. Ribadisco la
domanda: perché? Perché si vuol far
apparire la politica come una cosa “sporca” da
tener lontana dalle aule? Perché non si
dice che la politica (“arte del compromesso”)
costituisce le fondamenta del vivere civile? Poi
ci si stupisce se i ragazzi arrivano al diploma
superiore ignorando quali siano le regole che li
condizionano (a partire dalla Costituzione sino
a arrivare ai Codici) e magari si fanno concupire
da guru fantapolitici. Siamo seri: c’è ancora
qualcuno he crede veramente nell’istruzione “oggettiva” e “asettica”… ma
quando mai? L’istruzione è sempre
stata in mano al potere politico, anzi è sempre
stata uno strumento di potere politico. Non a caso
faraoni e papi e re e tiranni hanno controllato
e circoscritto la diffusione della cultura. Non
a caso Hitler, Mussolini, Stalin o Mao (ne cito
quattro per tutti, al fine di non essere etichettato)
hanno “riscritto” la storia dei libri
scolastici. Non a caso Galileo ha dovuto abiurare,
i dinosauri sono trascurati dai creazionisti e
i Testimoni di Geova non prendono in considerazione
il “Popolo al di là delle montagne” che
diede asilo a Caino. Non a caso, da sempre, nei
libri scolastici gli “altri” sono definiti “barbari”;
il Paese in cui viviamo è il più importante
solo perché ci siamo nati noi (questa logica
viene definita “patriottismo”); un
Dio – il nostro, chiunque siamo “noi” - è quello
vero (e chi crede in un altro, nella migliore delle
ipotesi viene compatito perché non ha ancora
visto la luce); gli errori e orrori della storia
nazionale vengono minimizzati o mistificati (perché nessuno
definisce “kamikaze” Pietro Micca ?).
Bene: questa è politica (con la p minuscola).
Ovvero proprio quella cosa che non dovrebbe entrare
nella scuola… e neppure nello sport, nella
comunicazione, nell’educazione. Invece -
questa è la mia modesta proposta - facciamo
arrivare la Politica (con la P maiuscola): dappertutto,
ma nell’accezione corretta e già citata
di “arte del compromesso”, ovvero l’impegno
nel conciliare punti di vista diversi alla ricerca
di un bene – culturale, in questo caso, ma
il discorso potrebbe essere allargato – comune.
Stimoliamo i giovani a usare (e a nostra volta
usiamo) la comunicazione – scolastica, televisiva,
editoriale etc etc – per mostrare come la
realtà abbia tante facce; come la storia
e la cultura dimostrino che non esistono verità assolute
ma solo relative al tempo e al luogo in cui vengono
analizzate; come tutti – TUTTI: terroristi,
pacifisti, abortisti e antiabortisti, arancioni,
punkabbestia, rivoluzionari e conservatori – quelli
che hanno agito o stanno agendo in modo per noi
anomalo siano convinti “di avere ragione”… e
l’unico sistema di correggerne le aberrazioni
non sta nel “fargli guerra” bensì nel “fargli
cambiare idea”… ma non mai sostituendola
con un’altra altrettanto acritica.
Ovviamente il problema è scegliere “l’idea
giusta”.
Bene: diciamo chiaramente che NON ESISTE l’idea
giusta in assoluto. Al più in relativo alla
situazione. E quale essa sia solo l’arte
del compromesso (la Politica di cui sopra) può stabilirlo
senza traumi.
Per questo insisto nel proporre modestamente – e
con questo so benissimo di “far Politica” -
di farla entrare ufficialmente (e non fingere di
escluderla ipocritamente) anche in classe.
Abbiamo
sentito questo auspicio anche in tempi recenti, da una
Ministra (pare che questo sgradevole neologismo
sia “toll.” persino dallo Zingarelli) dello
stesso governo che ripete periodicamente: “La politica
non deve entrare nello sport!”. Discorso coerente
nella teoria e nella prassi. Infatti quello stesso governo
che non vuole contaminazioni politiche nello sport è guidato
da un partito che si denomina come la più diffusa
acclamazione degli italici tifosi; ha come colore istituzionale
lo stesso della nostra Nazionale di Calcio (notare le maiuscole);
definisce il proprio gruppo parlamentare “squadra” e
le proprie iniziative con termini come “scendere
in campo”. Così – con la stessa logica – si
pretende ipocritamente di tener fuori la politica dalla
scuola.